miércoles, 31 de julio de 2019

Arte y realidad (Naturalismo y Abstracción)



















¿Quién es el autor de esos cuadritos de flores?
Cuesta adivinarlo. El estilo no casa con lo que sabemos del artista.

Piet Mondrian

Cuadros pintados no solo en sus inicios, a principios del siglo XX, sino sobre todo a finales de los años 20 y 30, cuando Mondrian era un pintor abstracto, cuyo ideario se componía de líneas verticales y horizontales, y figuras cuadrangulares de colores planos y puros.

Mondrian pintaba pequeños cuadros realistas de flores que vendía a amigos para poder sobrevivir.
Saliendo del estudio de Mondrian, el fotógrafo Brassaï comentó:
"Mondrian pinta flores para poder vivir ¿Por qué quiere vivir? Para no pintar más flores".

(Citado por Roland Barthes)

martes, 30 de julio de 2019

CHRIS WEAVER & FARI BRADLEY: VARIATIONS FOR ROOMS AND A TONE (2014)

Choir Practice - Variations for Rooms and a Tone from Fari Bradley on Vimeo.


Un coro compuesto exclusivamente por arquitectos e ingeniero que no han cantando nunca recorren las estancias de un centro de arte en Dubai, cantando y batiendo palmas, en función de la distinta resonancia de las salas que dan el o los tonos de la composición.

Composición, grabación y filmación de los compositores electrónicos británico e iraní Chris Weaver y Fari Bradley.
Sobre Chris Weaver, véase también su página web

Una experiencia que podrían repetir o revivir las Escuelas de Arquitectura.

FARI BRADLEY: ENTREVISTA SOBRE EL PABELLÓN CATALÁN EN LA BIENAL DE ARTE DE VENECIa, 2019, PARA RADIO RESONANCE FM (GRAN BRETAÑA)

https://www.mixcloud.com/Resonance/six-pillars-june-3rd-2019-venice-biennial-canada-and-catalonia-pavilions/

Entrevista de la compositora iraní Fari Bradley, instalada en Londres, sobre el actual pabellón catalán en la Bienal de Arte de Venecia.

LORENZA PIGNATTI: ENTREVISTA PARA ARTRIBUNE SOBRE EL PABELLÓN CATALÁN EN LA BIENAL DE ARTE DE VENECIA, 2019

Entrevista de la profesora en la Nueva Academia de Bellas Artes Milán, escritora y teórica de las artes Lorenza Pignatti sobre el pabellón catalán de la Bienal de Arte de Venecia, 2019, publicada en la revista digital italiana Artribune. El texto completo en castellano -sin los comentarios de la periodista- ya se publicó en este blog.

La Bienal está abierta hasta el 31 de octubre de 2019

El pabellón, este año, recibe cien visitantes diarios y mil los fines de semana. En años anteriores, el promedio era de siete visitantes diarios.

https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2019/07/padiglione-catalogna-biennale-di-venezia-pedro-azara/


IL CURATORE PEDRO AZARA DESCRIVE INTENTI E CONTENUTI DEL PADIGLIONE CATALOGNA ALLA 58ESIMA BIENNALE D’ARTE DI VENEZIA. PUNTANDO LO SGUARDO SUL VALORE DELLA MEMORIA.

Le statue collocate negli spazi pubblici possono essere adorate, mutilate o distrutte, a seconda delle reazioni che suscitano tra i cittadini. Negli ultimi venti anni in Catalogna diverse statue sono state oggetto di entusiasmo, disprezzo e/o ammirazione, eventi che mi hanno fatto riflettere e suggerito lo sviluppo della mostra da me curata per il padiglione catalano alla Biennale di Venezia. Anche la visione di una statua decapitata di Saddam Hussein abbandonata in un angolo del Museo nazionale iracheno a Baghdad, nel 2009, e le notizie della distruzione del sito archeologico di Tell Massaikh in Siria e l’occupazione del sito di Qasr Shemamok da parte dello Stato Islamico, nel 2016, che ho visitato personalmente, mi avevano fortemente impressionato. Suggestioni che sono state declinate nel contesto della regione in cui vivo, la Catalogna, dove vi sono stati diversi casi di distruzione e/o vandalismo di statue pubbliche”, ci racconta Pedro Azara, curatore e professore di estetica all’Università Tecnica di Barcellona.
Per la prima volta nel corso dei sei anni in cui ha preso parte alla Biennale di Venezia, la Catalogna non presenta nel suo padiglione un singolo artista, ma un progetto di ricerca che invita a riflettere sul potere delle immagini collocate negli spazi pubblici e sulle ripercussioni che hanno nel contesto sociale. Per Catalonia in Venice—To Lose Your Head (Idols), Azara ha selezionato e fatto trasportare a Venezia la statua del sindaco di Porcioles, realizzata da Joan Brossa, il Monumento a Lluís Companys di Francisco López, le statue della processione della settimana santa di Tarragona, e il monumento ai caduti di Genaro Iglesias, considerata un’opera franchista, anche se è ora in corso un acceso dibattito tra gli storici rispetto a questa attribuzione.

PAROLA AL CURATORE

Oltre a queste quattro statue, sono esposti nel padiglione materiali d’archivio riguardanti la storia di una decina di statue novecentesche che sono state idolatrate o distrutte negli ultimi anni in Catalogna. I tanti vandalismi e le decapitazioni alle effigie del presidente catalano Lluis Companys sono stati impressionanti, come se il presidente fosse ancora fisicamente presente dentro la statua e bisognasse giustiziarlo. Alcuni politici municipali sono rimasti sconvolti anche dal fatto che la statua di Companys sia ora esposta nel padiglione, e questo è accaduto perché non hanno capito lo spirito del progetto e perché le statue possono generare confusione”, continua Azara, e precisa: “Si può indurre a credere che le statue siano quello che rappresentano e per questo esigiamo che siano rispettate o deposte, non per il loro valore estetico, ma per il rispetto richiesto di fronte a una figura pubblica. Questa è una prova del potere delle immagini, che ci impedisce di distinguere tra realtà e finzione, tra immagine e modello. Nelle epoche antiche tale confusione derivava dal pensiero magico, mentre ora crediamo nel potere onnipotente della tecnica capace di clonare la realtà”.
Tra i monumenti rimossi recentemente da una piazza di Barcellona vi è quella del mercante di schiavi Antonio López. Non sono però solo le statue dei rappresentanti politici a provocare queste sensazioni. Anche le immagini di idoli sportivi o del mondo dello spettacolo possono essere esaltate o usurpate. Penso agli sticker di Maradona che sono apparsi a fianco delle statue di San Gennaro a Napoli quando l’Italia ha vinto lo scudetto e alle immagini di Macron bruciate dai gilet gialli, o al recente attentato contro una statua pubblica del filosofo prussiano Kant, in una città che prima era tedesca e che oggi è russa. È l’ennesimo esempio della nostra incapacità a giudicare le immagini come avrebbe voluto lo stesso Kant, con distanza e rispetto. Allo stesso tempo queste azioni indicano il potere delle immagini e la loro capacità di metterci di fronte ai fantasmi della storia. Generalmente viene sfigurato il volto delle statue, specialmente gli occhi, in modo da negare loro la forza dello sguardo, altre volte vengono macchiate con colore o scritte, altre volte mutilate”, spiega Azara.

L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA

L’allestimento dello spazio, a cura dell’architetto Tiziano Schürch, si ispira al deposito municipale di Via Favència a Barcellona, in cui sono collocati monumenti e statue rimossi dallo spazio pubblico perché danneggiati, mutilati, profanati o irreparabili. Per contrastare l’oblio, in Spagna, con l’applicazione della Ley de La Memoria Historica del 2007, e con la rimozione dei monumenti franchisti iniziata solo trent’anni dopo la dittatura, si stanno mettendo delle placche ai monumenti per “raccontare” e rendere “presente” la storia. Chiediamo ad Azara se il concept della mostra sia anche un modo per riattivare l’interesse nei confronti degli eventi storici, visto che nella società contemporanea i social media portano a un consumo e a una produzione bulimica di immagini, e rimane poco spazio per l’approfondimento e gli studi storici.
Si cancellano tracce, testimonianze, eventi passati della storia spagnola, in particolare in Catalogna. Tutto quello che non si accetta si elimina: un’attitudine repressiva e ignorante. Però la storia rimane. Che ci piacciano o no, i fatti e gli eventi sono successi, che suscitino vergogna, indignazione o simpatia. Ed è sempre una storia di vincitori e vinti –anche se a volte non si sa bene chi è chi, per questo la storia deve essere raccontata, spiegata, senza doverla giustificare, fornendo tutte le “armi” interpretative necessarie per conoscere e comprendere quello che è successo. L’oblio forzato che si pratica oggi è un errore tragico – con conseguenze imprevedibili. La distruzione di testimonianze moleste impedisce qualsiasi valutazione critica. Negando la conoscenza ci muoviamo come se fossimo ciechi – un procedimiento abituale nelle dittature, dove si tergiversa la storia, con una narrazione che difficilmente scappa al controllo e alla manipolazione. Per questo, qualsiasi elemento, documento, testo o immagine che può aiutare a “mettere in prospettiva” la storia, per vederla meglio, con tutte le sue contraddizioni, deve essere difeso e promosso. Una statua soppressa o distrutta è un buco nero nella trama della storia”, commenta Azara.

OPERE E PERFORMANCE

Catalonia in Venice_To lose your head (idols) è composta anche da un intervento performativo che è stato presentato nei giorni dell’inaugurazione della Biennale. Lei si appropria di seà nel presente è la performance ideata dall’attore e regista teatrale Marcel Borrás. Un intervento che si è svolto nelle calli veneziane, tra l’Arsenale e i Giardini, dove l’attrice Marta Aguilar è stata trasformata in una “statua vivente”, interpretando con le sue pose le statue presenti nel padiglione. Una sorta di deriva psicogeografica ha sovrapposto la cartografia di Venezia con quella di Barcellona, perché il pubblico che ha seguito la Aguilar durante la performance ascoltava eventi storici accaduti nelle piazze della capitale catalana. Il pubblico poteva anche intervenire con delle bombolette spray sulla statua vivente, come era successo in Catalogna. Per facilitare le interazioni, nel padiglione è presente un distributore automatico, E.Y.M: (a F******vending machine), che fornisce artefatti che servono per adorare o distruggere opere pubbliche:  fiori di plastica, candele, bombolette spray, pietre e martelli, come quelle utilizzate dai vandali. Il video EYES/EYES/EYES/EYES di Albert GarciÏa-AlzoÏrriz riflette sulla frammentazione e distruzione dei monumenti pubblici, interrogandosi, con un elegantissimo bianco e nero, sui significati ambivalenti delle immagini. È stato inoltre realizzato un libro d’artista pubblicato da Tenov Editorial, in cui Perejaume, Francesc Torres, David BestueÏ, LuÏa Coderch, Lola Lasurt e Daniela Ortiz riflettono sui concetti di iconodulia, iconolatria e iconoclastia con disegni, poesie, illustrazioni e saggi, che diventano forme di esercizio critico e pratiche di resistenza.
‒ Lorenza Pignatti

lunes, 29 de julio de 2019

ISABEL MARTÍN RUIZ (1986): EL PATIO DE LA CASA (2018)

https://zita-martin.tumblr.com/post/176166340963/23el-patio-de-la-casaucp68-audio-del-poema-el

(Escucha legal)


Isabel Ruiz Marín es arquitecta (estudio Cotidiana Coop.), poetisa y cantante de flamenco.
Ha publicado el poemario 90.3 de vaciante, en editorial Crecida (Ayamonte)

REM KOOLHAAS (1944): LAFAYETTE ANTICIPATIONS (FONDATION GALERIES LAFAYETTE, PARÍS, 2012-2019)

































Un nuevo centro de arte en el barrio del Marais de París, de tamaño medio.

Un edificio del siglo 19, con una fachada de piedra, vidrio y metal, en cuyo centro se ha insertado un imponente jaula de metal que sobresale por encima de los tejados y abre un gran patio cubierto, que soporta dos plataformas móviles ascendentes y descendentes que pueden situarse al nivel de las distintas plantas que rodean el patio, creando un forjado continuo temporal.
Todos los elementos -barandillas, luces, escaleras, etc.- parecen, afortunadamente, de serie.

El centro, sin colección, está dedicado a proyectos específicos de arte contemporáneo, que juegan con el lugar. En estos momentos, un experimento con telares cuyas urdimbres se confunden con la estructura vertical del patio, convirtiendo todo el interior en un gigantesco tapiz en elaboración:








Fotos: Tocho, París, julio de 2019

miércoles, 24 de julio de 2019

Simbólico (y decorativo)

Dos partidos políticos se descalificaron mutuamente, ayer en el Congreso de los Diputados. Dos de los reproches más contundentes, que impedían un pacto entre ambos, denunciaba que un cargo ministerial que un partido ofrecía al otro, era simbólico o decorativo. Dos términos denigrantes, al parecer.
¡Cómo cambia el significado de las palabras! Y cómo la política las degrada.

Un símbolo, originariamente, era un testimonio. Una prueba indiscutible. Un símbolo era un objeto de terracota, un disco o un plato que, durante una ceremonia que sellaba un acuerdo -de paz, comercial, de buena vecindad, que evitaba un conflicto presente o posible-, era partido, entregándose un fragmento a cada bando. Si un obstáculo o un encaramiento entre ambos bandos se producía con el tiempo, la reunión de ambos fragmentos, que tenían que encajar, probaban visiblemente que ambos contendientes habían sido capaces de sellar acuerdos en el pasado y que, por tanto, debían tratar de llegar a nuevos acuerdos, solucionando diplomáticamente, y no recurriendo a la violencia, sus diferencias.
El símbolo, en si, valía muy poco: un simple objeto de terracota, sin valor material. Sin embargo, su pérdida era irreparable. La paz entre territorios o ciudades, se fundamentaba en la existencia probada de los fragmentos del símbolo roto. Solo si se podían mostrar y encajar de nuevo, devolviendo la unidad al símbolo, la paz podía seguir. La rotura del símbolo debía, no obstante, ser visible. Las partes debían ensamblarse perfectamente, si bien la línea quebrada de la rotura no debía desaparecer, ya que en este caso, era imposible demostrar que se había llegado a un acuerdo en el pasado. Un símbolo íntegro no tenía sentido: nada decía.
Un símbolo, por tanto, es una imagen significativa. No se trata de una imagen que solo se refiere a lo que representa. No es una mera ilustración. Un símbolo no es lo que parece. No es un simple plato roto -todo y que también lo es, y la rotura es lo que da sentido al plato en tanto que símbolo. Un símbolo se refiere a realidades, contenidos, valores, nociones que solo se hacen visibles, comprensibles y efectivos gracias al símbolo. Éste es un disco de terracota fracturado y un signo de amistad. Por tanto, la amistad se prueba, e influye en la vida y las relaciones entre comunidades, gracias al símbolo. Éste es "mucho más" de lo que se es. Los símbolos son guías. No podríamos vivir sin símbolos, porque éstos recorren el tiempo, y logran que el pasado, el presente y el futuro se conecten sin perder sus valores. Lo que se acordó -lo que protege la vida- sigue vigente gracias al símbolo. El símbolo es un "signo" de paz duradera.
Descalificar una propuesta por ser "simbólica" -cuando una propuesta simbólica es a lo que más se puede aspirar, una propuesta que no sea simbólica debiendo ser rechazada porque no tiene "contenido", siendo un simple gesto carente de "valor"-, significa que no se sabe de qué se está hablando.  ¿Se puede confiar entonces en quienes nos gobiernan si no saben lo que dicen?

Del mismo modo, el empleo del adjetivo "decorativo" de manera despreciativa, es también un "símbolo" -la teoría del arte moderna tiene mucho que ver con esta perversión del lenguaje. Decorativo viene del latín decor, que significa magnífico. Decorus -derivado de decor-, que ha dado la moderno palabra de decoro -con una fuerte carga moral-, significa lo que conviene. El decoro es el respeto. El decoro inspira y manifiesta respeto; el respeto del otro. Lo decorativo hace que la vida sea más fácil. Suaviza las aristas, ofrece una cara amable, disipa las caras de perro -tan habituales en los congresos españoles. La decoración manifiesta que se piensa en el otro; es la manera de relacionarse bien, de buscar acuerdos. La decoración evita las escenas, las situaciones descarnadas. Reviste con un aura luminoso lo que, sin esta envolvente, sería imposible de aceptar. La decoración no esconde, u obvia las dificultades; dispone de manera tal las asperezas de modo que sean aceptadas -reconociéndolas y asumiéndolas, sin embargo. La decoración facilita el encuentro, el diálogo. El amargor no deja de estar presente. Pero la decoración lo convierte en algo digerible, por lo que hay que pasar, para poder seguir dialogando. Lo decorativo no se opone a la verdad -a menudo incómoda o inasumible; la verdad no siempre es benéfica-, sino que permite que la verdad, por dolorosa que sea, sea aceptada. Ojalá todas las propuestas fueran decorativas.